Il "Gonella": un monumento della storia alpinistica.
Si parte dalla Val Veny e si entra in un vallone glaciale dall’aspetto lunare, la porta d’entrata della via italiana al Monte Bianco. Il profondo solco scavato dal ghiacciaio del Miage, scrive Gaston Rébuffat nella sua famosa raccolta delle 100 più belle ascensioni del massiccio uscita in edizione italiana nel 1974, «è una lunga gola rettilinea, desertica, dove la vita sembra sospesa e dove il silenzio è rotto solo da qualche mormorio, scoppio o crepitìo dovuti a slavine, a cadute di sassi provenienti dagli alti contrafforti delle creste del Monte Bianco o del Trelatête, o (…) un grande blocco in bilico sulla morena che, perduto l’equilibrio per l’avanzamento del ghiacciaio, va incastrarsi, tra altri blocchi, all’imboccatura di un crepaccio». Un luogo appartato, in certi momenti persino inquietante, ridotto all’essenziale – pietra e ghiaccio – che fa da anticamera al mondo delle altezze. Mille e cento metri di dislivello oltre il Lago Combal, a quota 3072, sotto lo sperone che dalle Aiguilles Grises si abbassa verso sud est, sul lato destro del ghiacciaio del Dôme, si annida il rifugio Gonella. Lassù, la sera – racconta ancora Rébuffat – «non si vede più nessuna luce d’uomo (…) e l’assenza di luci conosciute, familiari, crea un altro silenzio, più intatto e più duro, una sorta di silenzio geologico che dà a questi luoghi una straordinaria dimensione».
Il rifugio Gonella… La costruzione più antica risale addirittura al 1891 (fu però ingrandita già quattro anni più tardi), mentre il secondo edificio, più recente e addossato al primo, data 1963. Base per l’ascensione del Monte Bianco per la via delle Aiguilles Grises (percorsa per la prima volta – in discesa! – da Achille Ratti, il futuro Pio XI, con due compagni e due guide di Courmayeur), oltre che per le salite al Dôme du Gouter e alla Bionnassay, il rifugio è stato per oltre un secolo il punto di riferimento per quanti progettavano la traversata alpinistica del massiccio percorrendone i due opposti versanti. In principio si chiamava semplicemente capanna del Dôme. La dedica a Francesco Gonella è successiva di alcuni decenni, ma oggi appare più che mai significativa per collocare nella cornice della storia alpinistica l’antica struttura d’accoglienza. E soprattutto ci riporta ad anni lontani quando, a causa delle condizioni della viabilità e dei trasporti, la frequentazione del Monte Bianco richiedeva impegnativi viaggi di avvicinamento e imponeva agli scalatori la disponibilità ai lunghi soggiorni. Davvero tutta un’altra storia rispetto alle ascensioni del nostro tempo, consumate nell’arco di un week end.
Noto avvocato torinese, classe 1856, oltre a reggere per un lungo periodo il timone della sezione torinese del Club Alpino, per almeno cinque lustri Gonella fu un instancabile promotore della costruzione dei rifugi nei principali gruppi montuosi valdostani. Un vero pioniere della colonizzazione alpinistica alle alte quote, che comunque seppe trovare sempre il tempo e le occasioni per dedicarsi ad ascensioni di grande respiro. Fu anche compagno di cordata di Luigi Amedeo di Savoia, il duca degli Abruzzi, che nel 1897 lo volle con sé alla spedizione al Monte Sant’Elia, in Alaska.
Fatti e vicende dell’alpinismo classico, insomma. Anzi, di un alpinismo da pionieri, considerando i personaggi che salivano alla capanna del Dôme tra la fine dell’800 e i primi decenni del secolo successivo. A rileggere i vecchi libri di rifugio provenienti dal Gonella e oggi conservati negli archivi del Museo nazionale della Montagna al Monte dei Cappuccini, si ha l’impressione di avere a che fare con un monumento della storia alpinistica. Tra le centinaia di firme pressoché anonime, si riconoscono nomi di prestigio. Guide celebri e scalatori di spicco. Accademici della prima ora, ghiacciatori, scialpinisti, e persino pionieri dell’Himalaya. Si distinguono le firme di Michele Baratono, Erasmo Barisone, Lorenzo Borelli, Guido Rey, Umberto Balestreri, Mario Piacenza, Giotto Dainelli, Ardito Desio, Amilcare Cretier, Ottorino Mezzalama. E poi si leggono gli autografi di Joseph e Laurent Petigax, di Bron, dei Grivel, di Luigi Carrel, di Arturo Ottoz, e quelli di Gabriele Boccalatte e Ninì Pietrasanta, di Massimo Mila, Piero Ghiglione, Ugo Ottolenghi di Vallepiana, dei fratelli Ravelli. E ancora, oltre a quella ovvia degli occidentalisti, spicca la presenza di alcuni grandi dolomitisti come Angelo Dibona e Celso Gilberti. Ma ci sono anche Norman-Neruda, Thomas Graham Brown (quello della Brenva), Wollaston, Jacques Lagarde, il formidabile ghiacciatore francese attivo soprattutto negli anni tra le due guerre. Ma non basta, perché un vecchio numero del “Bollettino” del Cai (il n. 59, vol. XXVI, del 1892) segnala che, il 15 agosto dell’anno precedente, alla vigilia di una salita al Monte Bianco, al rifugio soggiornò anche il duca degli Abruzzi, in compagnia di Gonella, della guida David Proment e dei portatori Alessio Fenoillet e Lorenzo Proment, tutti di Courmayeur.
Un incredibile repertorio di personaggi che fa apparire il vecchio Gonella in una luce nuova, e lo dipinge come un punto di ritrovo cosmopolita, al pari dei più blasonati rifugi che punteggiano il versante francese del Monte Bianco. Ma forse è proprio così che è giusto pensarlo: come un museo dell’alpinismo ad alta quota, un luogo che, a dispetto del tempo, del passare delle stagioni e degli inevitabili lavori di ristrutturzione, ha saputo conservare lo spirito di un passato che merita di essere rivisitato e ascoltato con rispetto e attenzione.